Il canto e il veleno Bucolici greci minori

Il canto e il veleno

Bucolici greci minori

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Virgilio, Ovidio, Tasso e forse lo stesso Leopardi non sarebbero stati gli stessi senza i cosiddetti bucolici greci minori e il loro contributo all’evoluzione del sogno pastorale. Il tempo non è stato cortese con questi autori, che per molti aspetti ancora sono avvolti da un fitto mistero. Quel che abbiamo è però sufficiente per apprezzarne il rilievo storico-letterario e soprattutto godere momenti di avvincente poesia, si tratti della dolce eleganza di Mosco Siracusano, del pathos bruciante dell’Epitafio di Adone di Bione di Smirne, o del vertiginoso compianto dedicato a quest’ultimo da un oscuro seguace. Ignorata sinora dai non specialisti, con una nuova e aggiornata traduzione in versi e un’Introduzione di ampio respiro, l’opera di questi poeti è per la prima volta presentata al vasto pubblico, che potrà riconoscervi, peraltro, i motivi fondanti della bucolica di sempre: il canto d’amore e l’amore del canto, vanamente insidiati dai diversi veleni del comune soffrire; il disegno di un mondo alternativo al presente, nel quale soggiornare fantasticamente ad libitum.

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Bione

Bione di Flossa presso Smirne, terzo, anche cronologicamente, nel canone bucolico (II-I sec. a. C.), lascia un carme completo, l’Epitafio di Adone, e vari frammenti.

Mosco di Siracusa

Mosco di Siracusa (II sec. a. C.), di cui conserviamo per intero un epillio, l’Europa, un lungo epigramma esametrico (Eros fuggitivo) e quattro cosiddetti frammenti, fu poeta, grammatico (allievo del filologo Aristarco di Samotracia) e lessicografo.

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